Gian Maria De Francesco | Il responso delle urne lo ha certificato. Pier Ferdinando Casini ha perso il suo tradizionale appeal nei confronti dell’elettorato.
La drammatica riduzione della pattuglia parlamentare ne è la testimonianza più ampia. Ma pochi avrebbero potuto immaginare che nemmeno Azzurra Caltagirone ha espresso la propria preferenza in favore dell’«onorevole» marito.
Ebbene sì, secondo quanto si apprende da fonti bene informate, la gentil consorte – nel momento fatidico – si trovava all’estero, precisamente alle Maldive con i figli Caterina e Francesco ed è atterrata all’aeroporto di Fiumicino lunedì scorso alle 19.35 quando i seggi avevano già chiuso da oltre quattro ore e mezzo. Si tratta di dettagli, ma comunque molto significativi di come quell’idea di «centro» della quale Casini si era fatto portatore non abbia fatto breccia nemmeno tra le mura domestiche.
E se in casa non va bene, figuriamoci al lavoro! L’aver ridotto il partito erede della Dc a un misero 1,78% alla Camera (i deputati sono passati da 36 a 8) e aver «raccattato» solo due senatori (Casini incluso) nella lista Monti ha lasciato molti udiccini con l’amaro in bocca. E se non è costume dei democristiani aprire «riflessioni» e fare «autocritiche» come si usa tra gli epigoni di Botteghe Oscure, questo non vuol dire che il processo alla leadership non sia iniziato.
Ma Casini, da oltre trent’anni in Parlamento, ha giocato d’anticipo e, ancora una volta, ha individuato nel segretario Udc Lorenzo Cesa l’obiettivo più facile da colpire. E martedì scorso, poco dopo aver assorbito la botta elettorale, ha riunito con sé i fedelissimi Gian Luca Galletti, Roberto Rao e Mauro Libé, tutti e tre accomunati dall’essere stati esclusi alla Camera. L’ex presidente della Camera, si mormora nei corridoi di Via dei Due Macelli, ha prospettato loro la possibilità di prendere la guida del partito costituendo una sorta di triumvirato. Casini manterrebbe per sé il ruolo di padre nobile, cioè di deus ex machina dello scudocrociato.
Peccato che l’Udc, come tutti i partiti, abbia uno statuto e che la nomina di un segretario politico necessiti di una ratifica congressuale. Ossia di quel congresso che da ben prima delle elezioni invoca il cosiddetto «partito del Sud», formato dagli esponenti udiccini delle regioni meridionali, tradizionale serbatoio di voti. Mario Tassone, ormai ex deputato calabrese estromesso dalle liste, ha invocato la resa dei conti dopo il disastro elettorale. In Calabria i luogotenenti di Casini, Occhiuto e Trematerra, hanno dimezzato i consensi del partito. Gli stessi toni, in queste ore, sono usati dai notabili udc di Campania, Sicilia e Puglia. E la domanda è sempre la stessa: «Perché si è stretta un’alleanza con Monti che ha succhiato i voti del partito e non si è rimasti autonomi?». L’accordo post-elettorale con Bersani era pronto da tempo: sarebbe bastato prendere il solito 4-5% e poi sedersi a trattare. Casini ha scelto il Prof Monti e, di conseguenza, la totale irrilevanza politica.