Redazione | Sull’autostrada che collega Napoli a Bari, cioè le due metropoli del Mezzogiorno d’Italia, c’è una curva della morte che ieri sera ha segnato l’orrore di un’altra tragedia. L’ennesima, annunciata e purtroppo prevedibile tragedia.

Nel dramma del pullman dei pellegrini, donne e bambini soprattutto, che tornavano a casa a Pozzuoli c’è il tremendo paradigma di una vicenda che racchiude le contraddizioni, i ritardi, le insufficienze, le arretratezze del Meridione e quindi dell’intera Italia. In un Paese civile, un’arteria a così alta percorrenza meriterebbe interventi strutturali ben diversi dai cantieri che periodicamente ne strozzano le corsie.

Lega i due mari, Tirreno e Adriatico; attraversa l’Irpinia e costituisce l’unico sistema di collegamento tra la provincia di Avellino e il resto della Campania; lungo il suo asse si trovano luoghi di culto di frequentazione nazionale come Montevergine e Pietrelcina e ospedali importanti anche perché collocati in luoghi strategici già in passato colpiti da devastanti terremoti: è raccapricciante, a fronte di ciò, constatare la cadenza drammatica degli incidenti che su quest’asfalto si verificano e che ieri sono culminati in una carneficina.  Prima o poi saranno note le ragioni che hanno portato l’autista del pullman dei pellegrini al folle zig zig tra le vetture e poi a schiantarsi contro il cemento del viadotto e a precipitare giù.

Si conosce già, però e purtroppo, la verità su quanto accaduto, nell’incuria colpevole e nelle disattenzioni profonde su una autostrada che ha lungo il suo percorso una curva della morte, tante lapidi e fiori pietosi a ricordarne le vittime, qualche segnale stradale a limitare la velocità e la sensazione amara e disperata di trovarsi nel Sud, a proprio rischio e pericolo.