Vittorio Feltri | Della vicenda si è già parlato tanto, forse troppo. Ma non tutto è stato detto. Alludo al ragazzino che si è gettato dal terzo piano a Roma perché avvilito dagli sfottò dei compagni di scuola e degli amici del doposcuola a causa della sua evidente omosessualità. Immaginando le sofferenze che hanno portato a un simile suicidio è impossibile non commuoversi e non pensare a come evitarle in altri giovani allo scopo di prevenire analoghe tragedie.
Accelerare l’approvazione della legge antiomofobia? Molti sostengono che sia questa la strada da percorrere per eliminare, punendole, le discriminazioni di carattere sessuale. Sulla scia della normativa che dovrebbe limitare i femminicidi, la convinzione che sia modificabile de jure la mentalità retrograda imperante nella società va ormai consolidandosi. Il ragionamento su cui si basa questa certezza è il seguente. Parecchi uomini ammazzano mogli, fidanzate e affini? Risolviamo il problema correggendo il codice penale, inasprendolo allo scopo di punire più severamente gli assassini (anche solo potenziali). Oppure: i gay vengono maltrattati, emarginati, presi in giro? Occorre una «legge speciale» che funzioni da deterrente.
Purtroppo è tutto sbagliato: una fucina di illusione non serve a migliorare il costume, ma – nella fattispecie – peggiora il diritto. Non è ipotizzabile, per esemplificare, che l’adolescente di Roma potesse avere un destino meno triste qualora le auspicate nuove regole sull’omofobia fossero state in vigore. Figuriamoci.
Il comportamento dei ragazzi sappiamo quale sia. Essi ubbidiscono agli istinti del branco. Sono conformisti per definizione; vogliono essere tutti uguali: nell’abbigliamento, nei gusti musicali, nella scelta dei divertimenti, nei vizi e nel linguaggio. Il diverso – il gay, l’obeso, il brufoloso, perfino il secchione – è automaticamente emarginato, dileggiato, addirittura perseguitato. Un fenomeno, questo, vecchio come il mondo e, diremmo, oggi meno accentuato rispetto al passato per effetto di una lenta, però costante maturazione civile della collettività. C’è un solo modo per estirpare del tutto, o almeno quasi del tutto, la malapianta che alimenta il disprezzo del branco verso la «pecora nera» o quella che tale è considerata: mobilitare non il legislatore, ma gli educatori, la famiglia in primis.
La questione infatti non è giuridica bensì culturale. L’accettazione degli altri, a prescindere dalla loro personalità, dalle loro tendenze sessuali e politiche o dal loro aspetto, si impara prevalentemente in casa, a scuola e sui libri. Non solo. Certi principi etici si acquisiscono anche respirando un clima di civismo, a creare il quale contribuiscono i partiti, i mezzi di comunicazione, il cinema e financo le canzonette. Confidare in una legge ad hoc per alzare il livello dei costumi di massa è un’ingenuità. Occorre ben altro impegno.
D’altronde i motivi che inducono gli adolescenti a darsi la morte sono molteplici, incluso lo scarso rendimento negli studi: c’è chi si toglie la vita per un 5 in pagella, ma nessuno ha mai proposto di eliminare per decreto le pagelle; c’è chi lo fa per un amore non corrisposto e chi lo fa senza dire perché. L’umanità è ciò che è. Gli omosessuali negli ultimi vent’anni si sono comunque integrati più di quanto non fosse avvenuto nei molti secoli precedenti. Prendiamone atto. Indubbiamente siamo ancora lontani dalla «parificazione» completa di gente con gusti sessuali differenti. Tant’è vero che non si segnalano genitori che abbiano festeggiato dopo aver appreso che un figlio (o figlia) è gay. E non sarà una legge che li persuaderà a stappare una bottiglia di champagne. Calma e gesso: l’evoluzione cammina sulle nostre gambe.