Leo Pugliese | “Vieni con me a contare i morti“. Sembra quasi il verso di una tragedia classica e invece è il testo del telegramma che la sindaca di Lampedusa ha spedito  al capo del Governo. Parole straordinarie scolpite negli occhi di chi ha visto troppo e chiede aiuto. Didascalia fulminante per quei lenzuoli bianchi stesi davanti al mare che si agitavano al vento di “sciddi” o quei sacchi di plastica messi in fila sulla piccola banchina di un porto che raccoglie i morti  di una guerra che non ha mai dichiarato. Da dove arrivano i morti, i feriti, i sopravvissuti di questa guerra?. Inutile dilungarsi in geografia. Arrivano da paesi che si chiamano miseria, violenza, paura, speranza. Di fronte a noi ci sono state primavere rivoluzionarie trasformate in autunni di caos e incertezze. Dalla Tunisia, all’Egitto, dalla Libia alla Siria. Più a sud la fame di sempre. In mezzo il deserto, i mercanti di uomini e alla fine, ignaro, il mare. Stamattina a Lampedusa erano già stanchi perché avevano soccorso quattrocento siriani nella notte, ma si sono rituffati per provare a salvare questi cinquecento eritrei, somali che affogavano a meno di un miglio dalla spiaggia dei conigli. I numeri, incerti ma terribili, la conta prendono sempre il sopravvento in questi momenti. Eppure deve esserci il tempo dei nomi da conoscere e salutare, da pregare e da ricordare. Per questi nomi bisogna fare qualcosa, protestare in Europa certo, ma intanto vergognarsi di una parola che fino all’altro ieri abbiamo usato anche nelle nostre leggi: respingimento.