Conchita Sannino | Ora c’è luce sulle ceneri di Bagnoli. E svela un paesaggio sinistro. Calato il pericolo e la paura dopo una notte di battaglia col fuoco, montano rabbia e domande. Perchè? Napoli si svegia ferita, la città a ovest mutilata. C’è stata una mano, una regia criminale a dar fuoco alla benzina, a cancellare del tutto tre capannoni su quattro, a soffocare in una sola notte il lavoro e i sogni, quasi venti anni di mpegno controcorrente spesi per la riconversione di un territorio? Oppure esiste una natura accidentale, la definizione di fatalità per disastri di questa portata? Qui muore, a Coroglio, dopo un incendio lungo dieci ore e centocinquanta metri di fuoco, Città della Scienza.
Qui si accartoccia, diciassette anni dopo, il progetto di una nujova rinascita, si spegne insieme al rogo il museo interattivo che affascinò scienzati e Capi di Stato e resta al suo posto un’infilata di scheletri affacciati sul mare. Un ex gioiellino che aveva ai piedi l’entusiasmo dei bambini – 200 mila ragazzi di ogni età e provenienza che lo visitavano ogni anno – e nella pancia il futuro, nella testa l’idea che l’innovazione e la ricerca possono perfino attrarre e divertire come un gioco. Con l’orgoglio di far rivivere, distesa su un golfo che pochi musei al mondo sanno offfrire, l’area dell’ex Italsider, a Bagnoli, acciaieria simbolo del Novecento operaio visto dal Sud. La Procura di Napoli ha aperto una inchiesta, la polizia ha già interrogato assieme alla Digos i primi vigilanti che hanno dato l’allarme quando ormai la struttura era già chiusa, attorno alle 21 e 30 e l’incendio si era già propagato.
Ma la parola dolo non viene ancora pronunciata negli atti ufficiali anche se è l’unica che corre sulla bocca degli abitanti di Bagnoli, dei fondatori del museo, dei dipendenti che peraltro da undici mesi non percepiscono lo stipendio.
“Non sappiamo cosa dirvi, sappiamo che è come se fosse morto uno di famiglia”, dice un uomno sulla sessantina. E l’altro, un impiegato più giovane: “Avevamo sperato che questo fosse il futuro dei nostri figli, ora è cenere, e con la crisi che c’è chi mai investirà per ricostruire?”. Un ragazzo, il tono duro, interviene: “Da napoletano, se ho diritto alla verità, vorrei non aspettare di essere vecchio per conoscerla e sapere per colpa di chi dobbiamo ricominciare ogni volta daccapo…”.
Gente che si raccoglie alla spicciolata, donen che piangono in silenzio, uomini attoniti. “Dolo” è la prima parola che spunta sulla bocca del sindaco de Magistris: “Non abbiamo ancora elementi ufficiali ma devo dire che a naso per un po’ di esperienza, una scena del genere non si può spiegare con un corto circuito”.
E’ l’una di notte quando il sindaco arriva, scosso, a Coroglio. Con lui il vicesindaco Sodano, il capo gabinetto Auricchio. Più avanti il segretario Cgil Libertino, il deputato di Sel Scotto, l’europarlamentare del Pd Cozzolino, Diego Belliazz, Vincenzo Lipardi, tutti lì come persone che hanno visto nascere e crescere un sogno. E c’è Vittorio Silvestrini, il 77enne scienziato che considera il museo una sua creatura, il gioiello che ha messo in piedi e poi fatto correre sulle sue gambe, malgrado difficoltà, polemiche e qualche problema nei conti.
“Il professore avrà un colpo durissimo”, mormorano i dipendenti che lo vedono arrivare, lo sguardo smarrito fisso sugli scheletri avvolti dalle fiamme.
Intanto il sindaco fa un appello a tutti: “Anche all’intera nazione, se necessario: il museo deve rinascere, è un appello ai cittadini e anche a tutti quelli che amano Napoli anche non vivono qui. E’ stato un giorno molto lungo, ora bisogna restare uniti”. Peccato che a elezioni chiuse non ci sia un solo rappresentante della Regione nè della Provincia. Come se quel museo non appartenesse ai napoletani ma alla stagione politica che lo ha generato. Divisioni e isolamenti che forse rendono più esposto anche un museo. Nella metropoli che impiega sempre pochi minuti a (ri)precipitare indietro di decenni. A volte presentando il conto di anni in una sola giornata