Leo Pugliese – Procida torna a essere crocevia di narrazioni e memoria grazie alla presentazione de “L’Isola bruna”, il nuovo libro di Gioacchino Francesco De Candia, in programma il 3 luglio nella sala consiliare del Comune di Procida (NA ) . L’opera, che gode del patrocinio comunale, si propone come un viaggio letterario denso di suggestioni, capace di intrecciare il vissuto dell’isola con temi universali. Ne abbiamo parlato direttamente con l’autore.
Intervista a Gioacchino Francesco De Candia
D: Gioacchino, com’è che nasce questo libro? Da quale idea e da quale stimolo?
R: Il lavoro parte da un’ideazione lontana, antica. Dacché ricordi ho sempre avuto l’impulso di scrivere; ciò nonostante è stata l’applicazione alla lettura favorita dalla mia formazione umanistica che ha fatto sì realizzassi quanto potesse essere gratificante creare meccanismi letterari.
In proposito, nella mia progettualità, hanno giocato un ruolo importante alcuni autori italiani del ‘900. Cito, ad esempio: Gadda, Buzzati, Landolfi, Manganelli, Pasolini, Flaiano ed alcune opere di Malaparte, in particolare Donna come me.
D: Perché hai deciso di mettere l’isola su cui sei nato al centro del tuo piano narrativo?
R: Innanzi tutto tengo a precisare che Procida non è mai nominata. In merito ti confesso che ho cercato d’evitare qualsiasi critica che si potesse risolvere ad un “mero provincialismo di maniera”.
La verità è che tenevo a rendere la narrazione corale. In tale quadro mi ci sono dedicato mettendo in gioco valori universali quali: lo sviluppo e l’educazione dei sensi, la trasformazione dei luoghi e della gente, i sentimenti fondanti dell’essere umano colti nel loro percorso. In sostanza, nella mia narrazione, l’isola altro non è che un luogo dell’anima. Probabilmente la sua lettura verrà immaginata adatta ai “borghigiani” ma, credimi, ho lavorato per renderla gradevole anche ai “forestieri”.
D: Mi pare che il tuo stile sia alquanto sofisticato, ricercato, non credi che i lettori meno avvertiti possano avere, all’approccio, qualche difficoltà?
R: Mai sottovalutare il lettore e, poi, il livello culturale è ormai cresciuto! Lo stile, nel mio libro, è funzionale alla narrazione. Me ne sono servito per creare un humus, un’atmosfera, un’evocazione. Insomma per suggerire a chi legge sensazioni ed emozioni che possano accompagnarlo fino all’ultimo capitolo, lì dove si rivela il piano narrativo. Ciò atteso riconosco che questo libro governa una morale che è difficile venga colta con una lettura sola. Ti dirò di più, m’ero prefisso anche questo: stimolare, cioè, il piacere a “rileggere”.
D: Mi è sembrato che ad integrare il tuo lavoro ci sia stata una non indifferente opera di ricerca.
R: La ricerca non è roba da internet è, piuttosto, seria quanto avara di soddisfazioni. È un travaglio per tecnici, per specialisti della polvere. Personalmente prediligo lo sforzo creativo. Da parte mia posso dirti che sono stato fortunato. È capitato, in sostanza, a seguito di tutta una serie di letture, d’imbattermi in notizie storiche, letterarie ed artistiche assolutamente mai “visitate”. Per me è stata una gioia trasfonderle in prosa e condividerle. Immagino tu abbia rilevato che ogni capitolo del libro include un elemento di novità storico/culturale pressoché assoluto. O per lo meno mai sviscerato.
D: Perché mai la gente, tra i tanti, dovrebbe leggere proprio il tuo libro?
R: Vedi, mio nonno materno era un eccellente vinificatore e quello paterno un bravo pescatore. Non si può negare esistano poi sacerdoti ispirati, panettieri intimisti e tavernieri saggi. Ma neanche che infieriscano il pettegolezzo, l’ittero dell’invidia, i politici poliformi e tutta un’umanità impegnata a spendere il proprio tempo fuori ad un bar. Insomma: ad ognuno il proprio talento!
La verità? È che credo di averne avuto a “raccontarli”. Con ciò non voglio essere ipocrita, questo lavoro aspira ad essere qualcosa che resti nel tempo, rinsaldi una memoria e che poi, col trascorrere degli anni, ne produca una “radiazione di fondo”.