Redazione | «Una rosa è una rosa, ed una rosa è una rosa», scriveva Gertrude Stein. Alcuni intesero tali versi come un invito riportare dentro l’evidenza dei fatti quelle discussioni che si svolgevano ad un livello così alto da sfiorare l’evanescenza. Ovvero a quel principio di realtà di cui sembrano sprovviste molte delle discussioni recenti sulla scomparsa della destra, intesa nel suo insieme di luogo politico e concezione ideologica. Sarebbe meglio parlare di convenzione ideologica, perché quanto di quel mondo, dei suoi ideali, dei suoi principi e valori fondamento di comportamenti e di militanza, a cui tanti furono educati, sia rimasto, come carne vivente e fuoco ispiratore, nei vent’anni di gestione del potere coincisi con l’era berlusconiana, è domanda la cui risposta potrebbe far sprofondare nella depressione.
Anche a chi, nato negli anni ’70, ha visto la propria militanza, o il proprio rapporto con la politica, nascere e svilupparsi dentro al ventennio, ormai accomodati al potere, sdoganati dalle fogne; spettatori, senza mai essere stati attori, del racconto di una militanza lontana, negli anni ’70 e degli anni ’80, che doveva avere formato una classe dirigente in maniera “diversa”, e dunque essere classe dirigente “diversa” quando l’appuntamento con la Storia l’avrebbe chiamata ad amministrare, abbandonando la contestazione; a mettere la grisaglia ministeriale, abbandonando le barricate.
Bene. Quanto questa diversità abbia avuto modo di esprimersi, durante gli anni trascorsi al governo, a stretto contatto con il potere, è sotto gli occhi di tutti. Del resto, se oggi si parla di destra da ricostruire, di pensiero di destra da ricomporre, da ammodernare, da rifondare, è perché il vaglio della Storia, sulle capacità di governo degli uomini della destra, si è espresso in termini impietosi. E non perché ci siano stati i Fiorito. O meglio, non solo per questo. Ma perché, come ha ricordato Marcello Veneziani, la destra ha perso perché malata di “nientismo”; perché dell’intero patrimonio di valori, principi, ideali, che avrebbe dovuto animare la sua azione politica, che avrebbe dovuto segnare, contrassegnare la sua partecipazione al governo, al potere, dovunque esso si fosse espresso, quanto è stato realmente messo in campo?
Per cui, il ragazzo cresciuto nei racconti quasi mitici di una militanza trascorsa, dura e pura, onorevole ed onorata, ha dovuto scontrarsi con una partecipazione alla gestione del potere vissuta secondo metodi e modalità democristiane. Senza la preparazione, e il senso della misura, democristiano. E se sarebbe sbagliato, ed ingeneroso, nei confronti dei molti che hanno tenuto la barra dritta, sviluppare questo discorso come definitivo, che sia questa l’impressione di fondo, la sensazione, la percezione di quello che è successo, sedimentatasi nella coscienza collettiva, è un dato da cui ripartire. Senza dimenticare quella certa lettura di Gertrude Stein, però. Quell’evidenza dei fatti, quel principio di realtà, con cui bisogna fare i conti. Se è tutto da rifare, viene difficile pensare che a rifarlo possano essere gli stessi. Perché mai , verrebbe da chiedersi, chi ha incarnato una idea di destra, in una maniera tale da consegnarsi al vaglio della Storia come una esperienza fallimentare, oggi potrebbe ben proporsi come il Rigeneratore? Come coloro i quali avranno la capacità di inventare nuovi linguaggi, nuove parole d’ordine, nuovi riferimenti? Come coloro i quali che, nel momento stesso in cui pensano alla possibilità di una nuova destra, sappiano porsi come prima, ed ineludibile questione, cosa accidenti voglia dire nel 2013, essere di destra, senza scomodare Dio, Patria, Bandiera? Senza tirare in ballo l’identità nazionale, quando quella nazionale italiana è in corso di ridefinizione e bisognerebbe piuttosto avere in testa idee concrete sul come partecipare a tale ridefinizione, che non puzzino di Novecento?
Sono queste le sfide, in nome del principio di realtà, rispetto alle quali anche i nati negli anni ’70 fanno fatica a sentirsi all’altezza. Avendo l’impegno politico come prospettiva del futuro, piuttosto che come orizzonte del passato. «Una rosa è una rosa, ed una rosa è una rosa». È probabile, invece, che Gertrude Stein intendesse altro. Che anche quello che appare evidente, alla realtà dei fatti, possa trovare altri significati. Associando idee ad idee, progetti a progetti, prospettive e prospettive, fino a trovare una nuova identità. Fatta di significati. Nuovi, appunto. Di uomini e donne, nuove. Di idee nuove da far crescere insieme a uomini e donne che crescano con esse. Si pensa davvero che si possa ripartire mettendo insieme i cocci di un mondo che non esiste più? Offrendo come prospettiva per il futuro l’immagine ingiallita di una comunità nel frattempo dispersa nella diaspora?
Gli ex alunni di una scuola, quando decidono di riunirsi lo fanno in pizzeria, davanti ad una birra, con il luccichio agli occhi ripensando ai momenti, anche meno felici, della loro gioventù. Non lo fanno dentro i banchi della classe che frequentarono, perché adesso sono occupati dai loro figli, o dai coetanei dei loro figli. È così difficile, anche nella politica, accettare questa idea?